Conosco Paolo da quando è nato. Da piccolo era un bambino gioioso, sorridente, allegro. Poi, a 6 anni, la morte di suo padre. E da quel momento tutto è cambiato. E' diventato un bambino un po' strano, un po' perso. L'adolescenza non ha migliorato le cose. E' rimasto imprigionato tra mille dubbi e domande inespresse su se stesso e una famiglia dove non ha mai potuto esprimersi. Tre anni fa la morte del nonno ha fatto esplodere tutti quei dubbi, quelle incertezze e paure, quel senso di inadeguatezza su cui non era mai stato rassicurato. Sono cominciati i deliri, proprio mentre era in vacanza con noi, lui passa sempre il mese di agosto e le vacanze di Natale con noi, è come un quarto figlio.. Deliri di prestanza fisica che invece non c'è mai stata. Paolo è un ragazzo esile, magro, altissimo, con poca coordinazione. E invece c'era il delirio di diventare il nuovo Bruce Lee. C'era il delirio di fama, di poter diventare un famoso attore. Sentiva voci che lo spingevano ad andare ad Holliwood proprio per coronare questo sogno. Ma c'era anche una incapacità a concentrarsi in qualsiasi cosa e un'ansia incontenibile che lo costringeva a camminare, a muoversi continuamente senza trovare pace da nessuna parte. C'è stato un primo ricovero, molto lungo. Quando è tornato era più tranquillo, ma qualcosa si era rotto in maniera irrimediabile. Paolo non è stato più in grado di avere un lavoro stabile, non che prima riuscisse a conservare un lavoro, ma almeno aveva periodi in cui riusciva ad alzarsi e ad affrontare i vari lavori temporanei che gli capitavano. Ora invece non riesce a concentrarsi su niente. Ti fa una domanda e già mentre gli stai rispondendo lui non ti ascolta più, pensa già ad altro, o non pensa per niente.
Per due anni, dopo quel ricovero, si è trascinato in una sorta di normalità, fatta di giornate vuote passate a fumare e a zonzo per la città, annoiato, perchè gli amici sono tutti impegnati con la scuola, l'università o il lavoro. Gli unici giorni in cui riesce ad avere un minimo di vita sociale sono il sabato e la domenica, quando gli amici si ritrovano in parrocchia e lui fa parte del gruppo.
L'avevano inserito in una serie di progetti-lavoro, ma lui dopo un po' si stanca, si lamenta con me del fatto che in quei posti ci sono persone messe molto peggio di lui, con le quali non si riesce ad avere un contatto normale! E un po' mi scappa da ridere, ma poi mi si stringe il cuore. Paolo sa di stare male, che qualcosa in lui si è rotto, è intelligente e sensibile, ha conservato la capacità di capire se qualcuno sta peggio di lui, e ha anche il desiderio di avere una vita diversa, normale, come gli altri. Ma gli manca l'energia per affrontare la vita, la immagina ma non riesce a stare al passo. E si scoccia a stare con altri come lui.
Prima di Natale è stato di nuovo male e ha avuto un nuovo ricovero. E' tornato a casa solo qualche giorno fa. Ed è ricominciata la noia di giorni tutti uguali dove rimane spesso solo: sua madre deve lavorare per mantenere entrambi, fa la badante, non guadagna molto, e ha la maggior parte della giornata impegnata.
Paolo allora viene a casa nostra, c'è sempre qualcuno dei miei figli in casa con cui chiacchierare. E se è fortunato, a volte ci sono anche io. Questa volta la terapia deve essere molto più pesante perchè c'è una maggiore difficoltà a parlare, come se i muscoli facciali facessero fatica a contrarsi per articolare le parole. A fatica, in un modo confuso, mi racconta il suo ricovero, e a leggere tra le righe, anche tutto il suo vissuto, i suoi sentimenti, la sua rabbia.
E io resto senza fiato a scoprire quell'abisso che è la mente, e come può essere profonda e intricata e contorta. E vengo presa da una specie di vertigine, dalla paura di cadere in quell'abisso profondo, che è così misterioso e affascinante.
Paolo sembra più tranquillo, ora, mi fa chiamare la madre per rassicurarla che è da noi e che sta andando a casa. Sono contenta che sia venuto a cercarmi.