lunedì, febbraio 03, 2020

PALERMO

L'anno scorso fu Catania, quest'anno Palermo.
Città amatissima, non solo per gli amici carissimi che vi abitano, ma proprio per quello che è: vitale, piena di bellezza, sgarrupata ed elegante, multietnica che ha interiorizzato le differenze culturali trasformandole in un mix straordinariamente bello e colorato e profumato e saporito. Approdati a Punta Raisi, abbiamo preso il treno che comodamente ci ha portati alla stazione centrale, a due passi da Ballarò, la nostra meta. E Ballarò si è rivelato la meraviglia di sempre, con la "chiamata" dei mercanti che magnificano le loro merci, con i prezzi che per noi del nord sono incredibilmente bassi, con i profumi del cibo di strada che si trova ad ogni angolo, con i colori degli agrumi, dei cedri straordinariamente grandi, dei cavolfiori e dei broccoli verdissimi. Il cibo di strada è un cibo povero ma estremamente saporito, fatto con tutte le parti di scarto del maiale, fritte o soffritte o prima lessate e poi fritte, insomma, un tripudio di grassi messi in mezzo a un semplice panino. Qualcosa di molto meglio, per i carnivori, rispetto a un hamburger! E per chi non mangia carne c'è pane e panelle: frittelle di ceci fritte al momento, oppure ci sono i fondi dei carciofi impastellati e fritti o i "cazzulli", fettine di melanzane sempre fritte. E poi ci sono i meravigliosi dolci: la setteveli, i cannoli, le cassatine, belli come solo la pasticceria di derivazione araba ha.  Ecco, Palermo, per me, è essenzialmente questo: il cibo da strada, le voci del mercato, simili alla chiamata del muezzin dal minareto, i dolci meravigliosi, belli come i mosaici di Monreale, e le cupole coloratissime, più simili ai minareti arabi che alle chiese cristiane. E laggiù, in fondo, la bellezza del mare.

1 commento:

Graziana ha detto...

Uhmmmm. Che profumo... E che bellezza!

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